Il rito propiziatorio del manocchio a Castel Sant’Angelo
A cura di Ileana Tozzi

Il mese di agosto, oggi riservato alle vacanze ed al riposo, era un tempo dedicato alle grandi fiere d’estate che consentivano la vendita dei prodotti agropastorali e l’approvvigionamento di merci pregiate provenienti dai luoghi più distanti: basti ricordare, a Rieti, le grandi fiere dell’Assunta inaugurate dalla corsa del palio e destinate a durare per due intere settimane, la fiera di San Magno a Cittaducale oltre i confini del Regno, con la quale i pastori si congedavano dalle famiglie per intraprendere la transumanza e raggiungere il Tavoliere prima delle avvisaglie dell’autunno.

Altri riti, altre occasioni di scambio e d’incontro scandivano il mese della gran calura, con la memoria della Trasfigurazione del Signore, sotto la protezione della Madonna della Neve e dell’Assunta, dei Santi martiri Lorenzo e Giovanni Battista, di Sant’Elena, Santa Monica e Sant’Agostino, San Rocco, San Domenico e il suo seguace San Giacinto.

Alcune tradizioni agostane resistono al trascorrere del tempo ed alle radicali trasformazioni della società. 

Tra queste, piace ricordare la consegna del manocchio, il fascio di spighe legate a mano che i più abitanti di Castel Sant’Angelo consegneranno alla chiesa di Santa Maria della Porta domenica 20 agosto. 

È questo il retaggio del rituale con cui i contadini più poveri rendevano grazie per le sementi che il Monte frumentario distribuiva così da consentire il mantenimento dell’economia di sussistenza indispensabile a garantire la pace sociale all’interno del castello intitolato all’arcangelo Michele, fondato intorno al IX secolo sull’altura del Colle della Croce affacciata sul tracciato della Salaria, parallela al corso del Velino.

Il castello fu dotato di una solida struttura difensiva ampliata nel XIV secolo con una nuova cerchia di mura dotate di dieci bertesche.

Uno dei bastioni che fiancheggiavano la porta principale della cerchia antica, che all’origine era la sala degli armigeri, fu riadattato al fine di ospitare la chiesa arcipretale, intitolata per questo Santa Maria della Porta.

La chiesa fu per secoli la sede del Monte Frumentario, a cui erano destinati i locali al pianterreno. 

Ne resta memoria nel frammento lapideo cinquecentesco di forma rettangolare, dalle dimensioni di cm. 11 x 39 x 19, che riporta mutila l’iscrizione “EPOSITU” facilmente integrabile come Depositum.

La presenza del Monte Frumentario che garantiva ai contadini poveri la distribuzione delle granaglie indispensabili per la semina con l’obbligo della restituzione all’epoca del raccolto lascia traccia nella tradizionale presentazione dei manocchi, come ricordava nel 1932 Francesco Palmegiani nel suo studio Rieti e la Regione Sabina, in occasione della festa della Madonna del Santo Amore «nella chiesa vengono portati fasci di grano da farsi benedire, insieme a numerose offerte di devoti».

L’antica usanza si ripete ancora, in occasione della solennità dell’Assunta, nell’antica chiesa arcipretale che dal 1986 è stata associata alla parrocchia di San Biagio vescovo e martire di Canetra, costituita canonicamente il 1 settembre e riconosciuta civilmente il 17 ottobre di quell’anno.

 

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