Sport educativo e Educazione sportiva
A cura di Luciano Pistolesi

Espressioni come “lo sport educa” e “educare allo sport” sono di evidenza immediata e sembrano non aver bisogno di precisazione alcuna. Si dà infatti intuitivamente per certo che educazione e sport siano due attività buone, che fanno bene e che hanno bisogno l’una dell’altra: lo sport ha bisogno dell’educazione per crescere nella sua natura di attività psicofisica benefica gratificante e per non decadere, corrompendosi e diventando altro da quello che è; e parimenti l’educazione ha bisogno dello sport per raggiungere la sua pienezza di attività volta allo sviluppo globale della persona e per non rattrappirsi o mutilarsi, rimanendo estranea o impotente di fronte a una realtà importante e diffusa come lo sport.

La reciproca implicazione è segnalata da due espressioni nelle quali ciascuno dei due termini, sport e educazione, è usato come aggettivo dell’altro. Si parla infatti di “sport educativo” e di “educazione sportiva“.

L’aggettivazione lascia intendere che lo sport non sia come tale educativo, e cioè capace di promuovere uno sviluppo pieno e d equilibrato della persona che lo pratica, e che l’educazione come tale non dia necessariamente pensiero dello sport, né svolga un ruolo importante a suo beneficio.

Per chiarire implicazioni e distinzioni occorre chiedersi di quale sport e di quale educazione si tratti. Non si tratta solo di precisare la specie di sport che si prende in considerazione (tutti gli sport sono potenzialmente educativi), ma anche di indicare la qualità di qualunque attività sportiva, in rapporto ai soggetti, ai fini, ai modi, agli stili, al contesto con cui la si pratica.

Discorso analogo si può fare per l’educazione, assumendo i medesimi parametri di riferimento.

Oltre a questi aspetti fondamentali, che definiscono con precisione gli oggetti di cui si parla, occorre fare riferimento anche ai punti di vista con cui si analizzano i due termini in questione, che denotano altrettanto rilevanti manifestazioni dell’umano.

Che cosa è propriamente lo sport? Che cos’è l’educazione? Alcuni arrivano ad accettare tutto quello che si fa in nome dello sport, altri lo rifiutano in blocco. La stessa cosa succede per l’educazione. Ci sono quelli che la esaltano senza riserve e quelli che la condannano come attività equivoca o negativa.

Di fronte a certe manifestazioni, anche se avvengono in quei templi dell’attività sportiva che sono gli stadi e le palestre, i campi e le piscine, c’è chi afferma sconsolato: “questo è lo sport”, e chi afferma il contrario: ma questo non è sport”. Del resto non si può parimenti dire che sia educativo tutto ciò che accade in quei templi classici dell’educazione che dovrebbero essere le famiglie, le scuole, le chiese, le associazioni giovanili, i mass media.

Che debba esserlo, secondo una fondata teorizzazione filosofica, è un conto; che lo sia anche di fatto, è un’altra questione. Nel 393 d.C. l’imperatore Teodosio pose fine ai Giochi Olimpici, giudicandoli fonte di corruzione dei costumi. In sede pedagogica non ci si accontenta di descrivere l’esistente né di teorizzare li dover essere, limitandosi a giustapporre i fatti e i valori, ma si cerca di stabilire fra i due livelli una connessione che svolga un ruolo insieme fenomenologico, critico-interpretativo e migliorativo, dunque di tipo progettuale.

Più propriamente la pedagogia sociale prende in considerazione i risvolti educativi, e cioè spirituali, psicologici, sociologici, tecnico-operativi, organizzativi, politico-istituzionali dello sport.

Si tratta questo proposito di distinguere, come ha fatto opportunamente Cesare Scurati (1989), fra sport di performance, sport ricreativo e sport di spettacolo, per cogliere in ciascuno di questi tipi quei valori educativi che gli sono propri. Il primo tipo rappresenta li carattere dell’auto-trascendenza, li secondo il carattere della gratuità, li terzo quello della sublimazione dell’opposizione. Tutti e tre appaiono dotati di elementi distintivi, che vanno proposti nell’analisi riflessiva. (Cesare Scurati, pedagogista di fama internazionale, morto nel maggio 2011).

Se volessimo scegliere un’icona capace di racchiudere la sintesi dei valori di tutte le tipologie di sport, potremmo ricorrere alla celebre immagine di Coppi e Bartali che si scambiano una bottiglia d’acqua nel corso di una dura tappa di montagna. Ciascuno di loro fa la sua corsa, punta a vincere e cioè compete, ma uno dei due riconosce la difficoltà dell’altro, si mette nei suoi panni e lo aiuta a rimettersi in gara.

“Oh, gran bontà de’ cavalieri antiqui…” scriveva Ariosto Nel Primo canto dell’Orlando Furioso, presentando i due contendenti, Ferraù e Rinaldo, uno saracino e uno cristiano, nell’atto di aiutarsi a salire sullo stesso cavallo per inseguire Angelica fuggitiva, traguardo agognato di entrambi: i quali s’impegnavano in tal modo lealmente a sospendere le ostilità per continuare l’aspro duello solo dopo averla raggiunta.

Spirito Olimpico e spirito cavalleresco appartengono non solo alla fantasia, ma anche alla realtà della storia, come la crudeltà e la barbarie. Chi si occupa di educazione deve scegliere da che parte schierarsi. Scrive Rabindranath Tagore, poeta indiano premio Nobel per la letteratura: “E la stella disse: io darò la luce. Non so se le tenebre scompariranno”.

In questa sede ci si limiterà a cogliere gli aspetti fondamentali dello sport, dell’educazione e dei loro rapporti, con particolare riferimento al ruolo delle società sportive, della scuola e dell’università.

Dove finisce la fisiologia e dove comincia la patologia dell’educazione, dello sport e degli ambienti che si qualificano come educativi, come sportivi o addirittura come enti di educazione sportiva?

Quale educazione aiuta lo sport e quale sport aiuta l’educazione? In ultima analisi, nella concretezza delle situazioni, sono le persone, con le loro idee, coni loro atteggiamenti e con i loro comportamenti, a fare la differenza. Poiché però non si può lasciare il giudizio all’impressione soggettiva e alla semplice opinione, occorre esplorare la natura dei due fenomeni sociali e cercare di cogliere a quali condizioni il matrimonio fra l’educazione e lo sport sia raccomandabile, duraturo e capace di produrre figli sani. La prima condizione è che sia, come fortunatamente avviene in molti casi, un matrimonio d’amore e non di semplice convenienza.

 

 

DECALOGO DEL FAIR PLAY

Qualunque sia il mio ruolo nello sport,

anche quello di spettatore, mi impegno a:

fare di ogni incontro sportivo, una sorta di festa

conformarmi alle regole e allo spirito dello sport praticato

rispettare gli avversari e i compagni come me stesso

accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi, sapendo che come

me hanno diritto all’errore, ma fanno di tutto per non commetterlo

evitare la cattiveria e le aggressioni nei miei atti, nelle mie parole o nei miei scritti

non usare artifizi né inganni per ottenere il successo

restare degno, nella vittoria come nella sconfitta

aiutare tutti, con la mia presenza, la mia esperienza e la mia comprensione

soccorrere ogni sportivo ferito o in difficoltà

essere realmente un ambasciatore dello sport, cercando di far

rispettare intorno a me i principi sopra esposti.

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