Figura 1 – Carta tratta da Italia Antiqua di Filippo Cluverio, 1624
Leggere dei tempi antichi da testi di studiosi di secoli trascorsi può dare, oltre a informazioni ormai marginalizzate ma pure in qualche misura interessanti, anche un valore aggiunto di lettura pacata, distanziandoci da inevitabili riflessi dell’attualità, come immergersi in ambiente sterile. Capitando di leggere “Dell’antichissima, e nobilissima Provincia, e Diocesi DELLA SABINA” (Carlo Bartolomeo Piazza “La Gerarchia Cardinalizia”, MDCCIII), titolo che già ci predispone a una narrazione positiva sulla Sabina, si incontra questa frase “e soprattutto per le peregrine, curiose, ed erudite antichità di questa nobile Provincia, avanti li secoli cristiani” che ricorda l’altro Carlo, il Celano del “Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli” coevo del 1693, che ho recentemente citato per dare un riferimento allo spirito di quanto andavo modestamente scrivendo sul sito. E non delude il Piazza perché, in tanta seria materia cardinalizia, di curiosità e di leggere annotazioni poi ci fa dono quando racconta della versione Sabina della sigla SPQR da leggere in Sabini Populis Quis Resistet?, cui si risponde Senatus PopulusQue Romanus o quando, sintetizzando il pregio del nome Sabino, afferma che “a tal grido e venerazione la loro antichità, dice Svetonio e Tacito, che era stimata di gran prerogativa appresso i Romani il poter vantarsi di essere di sangue Sabino come più antico e chiaro del loro. Ecce Sabinorum prisco de sanguine magnum agmen agens Clausus” (Eneide libro VII). E l’importanza di chiamarsi Sabino viene provata con un lungo elenco di esempi, tra cui Sabino Siro, che fu primo a salire le mura di Gerusalemme nell’assedio di Tito, e tra noti e meno noti possiamo arrivare ai tempi nostri allorquando, secondo dati degli anni ’70 del secolo scorso, l’attualità del nome registrava circa cinquantamila tra Sabini e Sabine comprese le varianti Savino e Savina. Anche sul territorio il termine Sabino è rimasto, più o meno consapevolmente, con la sua sostanziale carica d’ orgoglio e prestigio, come si può dedurre dal casuale incontro di una lettura riguardante la scuola chirurgica di Preci, paese vicino Norcia, che vantava fin dai tempi antichi una rinomata tradizione chirurgica in particolare nella vicina Abbazia di Sant’Eutizio (fine secolo V) fondata dal monaco siriano Eutizio. Più che una vera e propria scuola si trattò di dinastie di medici che si tramandavano la conoscenza e anche i ferri chirurgici. Famosi a partire dal XVI secolo, anche se venivano spesso chiamati ‘norcini’ perché al tempo Preci era ricompresa nel distretto di Norcia. Specialità era l’oculistica e l’estrazione dei calcoli, ma anche la castrazione “fabbrica delle voci bianche”.
Figura 2 – Particolare della Sabina di Mauro Giubilo, 1617
E veniamo al titolo, Pulchra Sabina Preces (il bel castello Sabino patria dei chirurghi) è l’inizio del “Subsidium medicinae” di Durante Scacchi,1596, medico di Sisto V. Il fratello Cesare Scacchi divenne famoso per l’ intervento nel 1588 alle cateratte della regina d’Inghilterra Elisabetta Tudor che gli procurò fama e mille scudi d’oro. Si narra che al seguito del chirurgo, in un contesto di assist dei benedettini dell’Abbazia di Westminster, andarono anche alcune infermiere di Norcia, anche loro di grande reputazione e molto ammirate per l’assistenza all’intervento, tant’è che a loro si fa risalire il termine inglese nursery. Per concludere queste spigolature, ricordiamo che Norcia fu città di primaria importanza dei Sabini e che la madre di Vespasiano, Vespasia Polla, che sposò Tito Flavio Sabino, era di Norcia e la famiglia aveva molti possedimenti nel territorio (vedi “Vespasiae” carta del Cluverio). Occasione per una pertinente citazione dello storico Filippo Coarelli: “A Vespasiano gli storici antichi riconoscono le tradizionali virtù sabine che erano state anche di Curio Dentato e di Catone: austerità dei costumi, pragmatismo non disgiunto da autoironia, disinteresse personale unito a dedizione della cosa pubblica”. Norcia è poi candidata a Capitale Europea della cultura 2033 con Rieti, che ha espresso formale impegno alla candidatura nell’ambito della Civitas Appenninica e dei legami storici e culturali tra le due realtà. Della Civitas, ricordiamo, fa parte anche la città dell’Aquila, e Rieti è, altresì, accanto a L’Aquila Capitale della Cultura 2026. Rieti si conferma Umbilicus Italiae.
Figura 3 – Rieti, piazza S. Rufo, monumento del Centro Italia
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