
Il 19 marzo 1674, dopo aver fatto testamento e raccomandato l’anima a Dio, moriva a Canemorto il pittore Vincenzo Manenti, Cavaliere della Milizia Aurata, accompagnato dal rimpianto unanime dei concittadini che ne avevano sempre lodato l’autorevolezza ed il consiglio.
Proprio a Canemorto lungo la via Licinese, in prossimità dell’abbazia di Santa Maria del Piano ricca di memorie, era nato il 7 luglio 1600, primogenito del maestro Ascanio, valente pittore originario di Capradosso, e di Isabella Masselli fiorentina, sua seconda moglie.
Appresi i rudimenti dell’arte paterna, il giovane avrebbe frequentato a Roma le botteghe di Domenichino e del Cavalier d’Arpino decidendo di tornare a Canemorto con l’obiettivo di primeggiare in Sabina senza essere uno tra i tanti, buoni pittori che cercavano di trovare un mecenate nella Capitale.
La prima commissione del promettente artista è documentata tra le bollette della Cancelleria Vescovile di Rieti (Acta Civilia c. 694-605) quando il 9 dicembre 1622 consegnò al canonico Ascanio Severi due dipinti raffiguranti la Pietà e San Carlo Borromeo, purtroppo perduti. Bisogna attendere l’anno 1629 per conoscere da vicino l’assetto dei palazzi di Capitignano e Mopolino dipinti dai conti Ricci, la cui protezione sarà determinante.
Rientrato a Canemorto, dopo l’apprendistato romano, il giovane artista per una volta assunse le vesti del pittore dannato e trasgressivo, forse di moda in certi ambienti romani: coinvolto in una rissa, forse per una storia di gelosia, fu severamente esiliato dai maggiorenti del paese.
Il padre Ascanio, che godeva di buona fama per la sua attività, si rivolse dunque al conte interessato a far decorare le sue proprietà negli Abruzzi: il giovane artista rimase a lungo lontano da Canemorto, ma dimostrò il suo ravvedimento quando nel 1631 sposò Beatrice De Amicis, s’interessò dell’amministrazione civica, aderì alla confraternita mariana dell’Osservanza.
Intanto, i due Manenti padre e figlio lavoravano di concerto per una varia e qualificata committenza: l’esempio più ragguardevole è il salone di rappresentanza del palazzo eseguito da Giovanni Domenico Bianchi da Milano per Marcantonio Vincentini che nel 1589 aveva acquistato dagli eredi la casa/torre dei Poiani signori di Piediluco, ormai estinti.
Quando nel 1635 fu annunciata l’elezione del cardinale Giovanni Francesco dei conti Guidi di Bagno, furono incrementati i lavori di riassetto architettonico e di adeguamento liturgico intrapresi dopo la Visita Apostolica del 1573-1574.
Il vescovo di Bagno scelse Vincenzo Manenti come autore dell’arme richiesta per il Comune. Soddisfatto per questa prima prova, commissionò direttamente la pittura delle lunette del portale e delle porte laterali della cattedrale e delle pareti delle stanze dell’episcopio costruite durante il XVI secolo per congiungere l’antica casa/torre con il palazzo papale, adibito come archivio da Gabriel Naudé.
Intanto, nel 1636 la compagnia dei Maestri lombardi intitolata a San Rocco richiedeva a Vincenzo Manenti l’allestimento completo di tele e di affreschi, secondo la tecnica gia sperimentata dall’artista.
Dopo il 1639, quando si avvicendò al cardinale di Bagno il nuovo vescovo monsignor Giorgio Bolognetti, l’artista sabino proseguì nell’intento di allestire le cappelle della cattedrale.
Nel 1645, per la cappella dell’Angelo Custode intestata a Giovanni Loreto Terzoni di Cascia, riconoscente per la concessione della cittadinanza reatina, fu richiesta la decorazione plastica da Gregorio Grimani e da Vincenzo Manenti la pittura della Resurrezione e della Sacra Conversazione con San Martino.
Tra il 1651 e 1652 la Compagnia dei Numeranti pagava all’artista il corrispettivo in grano di 60 scudi e 70 scudi equivalenti a 14 rubii di grano per i lavori compiuti nella cappella del transetto: 60 scudi in grano hauti dal fattore e in seguito A. S.r Cavalier Manenti per pittura scudi settanta hauti in rub.o quattordici di grano datoli per d.o prezzo dal fattore come per boll.a consegnatemi scudi 70.
Per la ricca e raffinata cappella del SS.mo Sacramento Manenti realizzò le Quattro Virtù Cardinali, i Profeti, i Padri della Chiesa e due Storie dell’Antico Testamento.
Tra gli anni ’50 e ‘60 del XVII secolo le confraternite della Madonna del Pianto, di San Leonardo, di San Giuseppe e di San Pietro Martire fecero a gara per avere dall’artista sabino gonfaloni e tele di pregio.
Il 29 marzo 1656 iniziarono i lavori alla cappella del Crocifisso presso la chiesa di Sant’Antonio del Monte che già era stata dipinta à trompe-l-œïl con il gruppo della Vergine Maria, la Maddalena e San Giovanni Evangelista nella nicchia del Crocifisso.
A 350 anni dalla morte di Vincenzo Manenti, le sue opere segnano un momento luminoso della pittura a Rieti e in Sabina.

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