Mattia Battistini a Palazzo Dosi
A cura di Paolo Lancia

Gli abiti e gli accessori di scena del Baritono Mattia Battistini tornano sul palcoscenico – nelle giornate tra 25 e 28 agosto, stavolta nella prestigiosa cornice di Palazzo Dosi – ospiti della Fondazione Varrone, a Rieti nella centrale Piazza Vittorio Emanuele II: offerti al grande pubblico in quanto testimoni di una eccellenza assoluta della nostra storia moderna, assieme ad altre eccellenze del territorio.

L’evento è inserito nella Fiera Mondiale del Peperoncino di Rieti – l’appuntamento più atteso e divertente dell’estate reatina: il Comune di Contigliano ha aderito alla richiesta di partecipazione avanzata da Livio Rositani, Presidente del Comitato organizzatore della Fiera, e da Letizia Rosati Assessore alla Cultura del Comune di Rieti.

A cura dell’assessorato alla Cultura del Comune di Contigliano, guidato da Maria Lucilla Malfatti, alcuni splendidi abiti e oggetti di scena del baritono hanno quindi trovato spazio nell’iconico allestimento di Francesca Romana Pinzari – un piccolo capolavoro di eleganza, nella variegata cornice della Fiera Mondiale del Peperoncino.  

Una bellissima festa per Rieti, una grande occasione turistica per il nostro territorio. 

Compaiono nella mostra preziosi oggetti che furono di Battistini, con lui nei teatri del mondo: una apparizione bella e fugace, in attesa di esibirli tutti e insieme e senza tempo: è volontà del Comune di Contigliano infatti, allestire in forma permanente l’intera vasta collezione (di circa cento abiti, e di numerosissimi reperti – comprendenti anche numerose foto d’epoca, molte autografate dal Maestro) – nei suggestivi spazi di Villa Battistini a Collebaccaro di Contigliano, ove il Maestro visse ed ora riposa – con la consorte e il figlioletto; ove oggi si colloca la sede didattica locale del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma.

In morte del Maestro, i materiali stessi furono trasferiti per lascito testamentario in proprietà al Comune di Contigliano: oggi costituiscono una straordinaria testimonianza del tempo, e della notevolissima avventura umana e artistica di Mattia Battistini.

Ne rileggiamo alcune note biografiche, dal sito del Parco della Musica – Conservatorio di Santa Cecilia:

“Iniziò gli studi di canto in giovanissima età sotto la guida di Venceslao Persichini (maestro anche di Titta Ruffo e Giuseppe de Luca) giungendo al debutto ne La Favorita di Gaetano Donizetti al Teatro Argentina di Roma già nel 1878. Prese così avvio una luminosa carriera che lo portò a cantare nei principali teatri italiani come primo baritono in numerose opere di repertorio, tra cui La forza del destino, Rigoletto, Il trovatore, Gli Ugonotti, I puritani, Lucia di Lammermoor.

Nel 1881 si aprirono per Battistini le porte dei teatri internazionali: dapprima in Sud America (Buenos Aires e Rio de Janeiro), nel biennio ’82/’83 in Spagna (Madrid e Barcellona), dal 1883 a Londra dove raccolse grandi consensi in La traviata e Il trovatore, e poi Vienna, Parigi e Budapest. Nel 1888 fu ancora a Buenos Aires per una serie di impegni, ma per una specie di fobia dei viaggi in mare non si recò mai più oltreoceano.

A partire dal 1892 fu ospite ed incontrastato mattatore della produzione operistica russa per ben 23 stagioni consecutive (fino al 1916); divenne, infatti, il cantante favorito dello zar e dell’aristocrazia russa, condizione che gli valse il mitico titolo di “Re dei baritoni e baritono dei re”. Nel 1902 andò in scena a San Pietroburgo nel Werther di Jules Massenet nel ruolo del protagonista, originariamente scritto per tenore, adattato appositamente per lui al registro di baritono dal compositore francese, tale era il prestigio del cantante italiano.

Durò in carriera fino a 70 anni (1927) grazie ad una tecnica considerata prodigiosa e ad una invidiabile intelligenza artistica. Erede indiscusso della vocalità “dolce” di Antonio Tamburini, Battistini era uso smorzare gli impeti vocali derivati da Ronconi ed evidentissimi in Titta Ruffo, in una soave eleganza fatta di sussurrate proporzioni. 

Valgono ancor oggi, a testimonianza di quel gusto, i dischi di arie d’opera e romanze da salotto in cui il timbro chiaro e luminoso (alle nostre orecchie quasi tenorile) di Battistini viene supportato da fiati ampi e vezzi chiaroscurali tipici di un canto elegante e manierato ormai scomparso”.

L’allegata narrazione fotografica degli abiti e degli oggetti in mostra a Palazzo Dosi tratteggia l’atmosfera di questa indimenticata vivida vicenda d’arte, musica, costume.



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