
Rieti città di acque, di monti, di brume che dormono sulle zolle della Piana. Ma anche città di Pallacanestro, coi ragazzi del dopoguerra che se riuscivano a svettare sopra il tetto di cristallo del metro e settanta si dedicavano ad accanite partite nei campetti oratoriali o in un qualunque posto dove ci fosse un canestro fissato al muro.
Perché uno dei vanti della città era la Società Sportiva MAG Sebastiani Rieti, il cui nome rendeva omaggio agli atleti Mario, Angelo e Gino Sebastiani uccisi dai nazisti durante la guerra. Era agli inizi uno sport alla maniera antica, praticato come si poteva in maniera un po’ autoreferenziale, con risultati altalenanti ma con invincibile passione.
Poi avvenne che anche la Conca reatina, così protettiva nei confronti delle novità esterne, venne valicata dal modo nuovo di intendere il professionismo, che si poteva sintetizzare con un neologismo destinato a fulgido destino: SPONSOR.
Fu prima la SNIA e poi Brina, sinonimo per i reatini dell’epoca di ghiaccio bollente e più amata della Ekberg. Un’intera generazione di gente di per sé circospetta e restia ad accogliere chi venisse “da fuori” si tramutò in una masnada di scalmanati che rischiava a ogni partita di far saltare il tetto del vecchio Palazzetto.
Ma come accadde una cosa così improvvisa?
Arrivò LUI.
Gianfranco Lombardi detto Dado , chiamato dal Presidente Milardi nel doppio ruolo di giocatore e allenatore.
Un marziano a Roma? Di più.
Ognuno nella vita ha quelli che gli anglosassoni chiamano “milestones” , vabbè, pietre miliari, momenti indimenticabili che ritornano per sempre nella memoria e di cui puoi identificare ogni momento, recuperando persino gli odori che aleggiavano nell’aria.
1972 , autunno. Una serata ancora giovane, ma già avviluppata dalla nebbia, che all’imbrunire si moltiplicava e dai campi dietro la ferrovia tracimava prima timidamente, poi sempre più baldanzosa all’interno della città. Io camminavo infreddolita su viale Canali e giunta nei pressi del Marconi scorsi davanti all’edicola qualcosa che sulle prime a causa della nebbia non seppi catalogare bene. Sembrava una persona da lontano, ma era pure troppo grossa per essere una persona normale e per di più sembrava coperta di pelo.
Chi mi conosce lo sa, anche nei gloriosi anni ’70 non ho mai fatto uso di sostanze meno che legali , ma in quel momento dubitai di me stessa , anche se il familiare odore di uova sode della Viscosa portato dalla nebbia mi raccontava una storia di normalità. Ma la persona che vedevo era veramente , completamente al di fuori della normalità reatina. Avvicinandomi capii che era il famoso Dado Lombardi, il cui arrivo era stato annunciato alla popolazione con grande rilievo, e cominciava a prendere confidenza con la città che l’avrebbe ospitato e amato per più di tre anni.
Quello che non mi aspettavo era la pelliccia.
Perché il monumentale Dado era avvolto da un cappottone a redingote di pelliccia di lunghezza midi, mai vista a Rieti indosso a un individuo indubbiamente di sesso maschile.
Il pellicciotto era sicuramente un souvenir proveniente da trasferte nei paesi nordici, ma a Rieti chi ne aveva mai visto uno?
Mi fermai sul bordo del marciapiedi di Piazza Marconi e stetti un attimo a guardare mentre Dado parlava affabilmente con non so chi.
Aveva indubbiamente un’espressione simpatica che smentiva il messaggio da plantigrado della mise e mentre gli sfilavo vicino pensai tra me e me “Benvenuto, Dado”. Come poi si capì , era molto più letale in maglietta e pantaloncini che in pelliccia.
Però quel suo essere così clamorosamente diverso da tutto quello che eravamo abituati a vedere ci ha fatto bene. Ha spiegato -soprattutto ai più giovani- in maniera non verbale che al di là della Conca c’era un mondo da esplorare pieno di cose stupefacenti al quale potevamo aprirci, che c’erano strade che potevamo percorrere per andare via, vivere le nostre avventure di ogni tipo e poi, se avessimo voluto, tornare nella nostra terra di acque e monti.
Tanti lo hanno fatto , sono andati e hanno vissuto lontano, ma sempre sentendosi figli di Rieti oppure sono tornati e raccontano del mondo.
Grazie Dado, ovunque tu sia. Sono sicura che non sentirai freddo.

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