La cappella di San Giuseppe nella cattedrale di Rieti
A cura di Ileana Tozzi

Nel 1859, anticipando il patronato di papa Pio IX, monsignor Gaetano Carletti vescovo della diocesi di Rieti tra il 1849 e il 1867 stabilì di intitolare la terza cappella a cornu Epistulæ della cattedrale a San Giuseppe, custode della Santa Famiglia e protettore dei lavoratori

Fu così necessario il riassetto della cappella costruita nel 1631, quando il Capitolo aveva assegnato l’antico altare della Resurrezione al mercante Alfonso Lucentini di Cascia che, grato di avere acquistato la cittadinanza reatina, aveva chiesto di intitolare il sito agli Angeli Custodi ed aveva incaricato la progettazione al maestro lombardo Giovanni Maria Maggi di Castel San Pietro. 

In pochi anni, la tela dell’altare raffigurante l’Angelo Custode fu richiesta dal romano Andrea Sacchi (1599 – 1661), il sabino Vincenzo Manenti (1600 – 1674) si occupò dell’allestimento delle pitture parietali, gli stucchi monumentali ispirati a San Michele Arcangelo e all’Angelo Custode furono eseguiti dallo stronconese Gregorio Grimani e dal milanese Giovanni Baruzzo.

Al posto dell’opera barocca di Andrea Sacchi fu dunque collocata la luminosa tela ottocentesca eseguita dal romano Pietro Gagliardi (1808 – 1890), membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Solo nel 1906 il professore Giuseppe Colarieti Tosti avrebbe eseguito la nuova mensa dell’altare dove il vescovo Bonaventura Quintarelli (1895 – 1915) intendeva custodire le reliquie di San Probo, morto nel palazzo episcopale nel 570 celebrato per le sue virtù da San Gregorio Magno.

A sua volta l’Angelo Custode di Sacchi fu spostato sulla parete sinistra occupando il Cristo risorto di Manenti, con il pretesto che fosse assai guasto dall’umidità.

Quando nel 2003 la tela di Andrea Sacchi fu scelta tra le opere del contesto reatino in occasione della mostra Antonio Gherardi artista reatino (1638 – 1702) un genio bizzarro nella Roma del Seicento a cura di Lydia Saraca Colonnelli presso la sala delle udienze del palazzo papale, fu davvero una lieta sorpresa rivelare la sostanziale integrità del possente Cristo che si libera dal sudario e lascia scoperchiata la sua tomba, mentre i soldati di guardia sono abbagliati dalla luce dell’eternità.

Così le pitture parietali furono restaurate da Cecilia Gugliandolo e Ihab Samy Nasseralla e la tela di Andrea Sacchi temporaneamente collocata presso la cappella di San Vincenzo Ferrer e della beata Colomba.

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