Il Museo Civico di Rieti è una delle istituzioni museali più antiche del Lazio. A raccontarci le sue opere più emblematiche, i numerosi progetti in corso e futuri, e il ruolo che il museo riveste nel racconto dell’identità di Rieti e della Sabina, è la sua direttrice, Francesca Lezzi, in questa intervista per “Amici di Rieti”.
Quanto il vostro impegno nel trasformare il museo in un luogo di produzione culturale sempre attivo può contribuire a stimolare la forza attrattiva, in termini turistici e culturali, di Rieti oggi?
Sento profondamente mie le parole di un grande professionista della cultura, Giuliano Volpe, stimato archeologo, che disse: «Solo una visione elitaria, aristocratica, della cultura e dei musei ha portato a ritenere che un oggetto parli da solo». Riflettendo su queste parole, e trovandomi oggi nella posizione di poter agire concretamente, sto coinvolgendo tutti i colleghi del servizio museo per rendere le nostre strutture quanto più accessibili possibile.
Per noi, accessibilità non significa solo facilitare l’ingresso a persone con disabilità motorie, sensoriali o cognitive, ma anche consentire a ogni visitatore di ricontestualizzare un oggetto, sia da un punto di vista storico sia sociale, nel luogo e nel periodo in cui è stato creato.
Questo approccio funziona sia per la sezione archeologica sia per quella storico-artistica. Un Museo Civico come quello di Rieti, strettamente legato al territorio, deve essere in grado di raccontare e far comprendere la complessità stratificata della storia locale a tutte le categorie di visitatori, bambini compresi.
Guardando al futuro, dobbiamo puntare sul coinvolgimento e sulla partecipazione attiva: l’unico modo, a mio avviso, per tutelare davvero il patrimonio, considerandolo come una risorsa per la crescita culturale e socio-economica.
Esistono in Italia esempi virtuosi di alleanze tra Amministrazioni locali, mondo della ricerca e comunità, capaci di attuare politiche di valorizzazione e creare delle vere e proprie “comunità di patrimonio”.
Rieti, com’è noto, non è una realtà turistica consolidata: è una piccola città, non priva di criticità, ma con un grande potenziale ancora inespresso. Mi piacerebbe che Rieti potesse trovare nel Museo, e nei suoi beni culturali, archeologici e storico-artistici, una ragione per riconoscersi come cittadinanza.
È così che il patrimonio culturale può realmente contribuire al progresso culturale, sociale, economico e civile del territorio.
In che modo, concretamente, il museo contribuisce alla valorizzazione della storia e dell’identità culturale di Rieti e della Sabina? Ci sono progetti in corso per coinvolgere la comunità locale in questa missione?
Entrambe le sezioni del Museo Civico raccolgono e conservano opere che parlano direttamente della città e del territorio.
Rieti è ben rappresentata da alcune opere entrate nella collezione civica a seguito dell’esproprio dei beni ecclesiastici dopo il Regio Decreto del 1862, durante il giovane Regno d’Italia.
Sono testimonianze che ci mostrano come Rieti, nel tardo Medioevo, fosse un centro di rilievo, perfettamente inserito nei fermenti innovativi del panorama culturale dell’epoca.
Particolarmente significative, in questo senso, sono le opere pittoriche (dipinti su tavola e affreschi) conservate nel salone principale, la sala 2, e le numerose oreficerie sacre e oggetti liturgici esposti nella sala 3.
Alcune opere, entrate in museo grazie a donazioni di famiglie nobiliari reatine come i Mattei, i Ricci e i Sacchetti Sassetti, testimoniano i legami di queste famiglie con gli ambienti intellettuali del loro tempo.
La recente donazione della famiglia dell’artista Antonino Calcagnadoro conferma ancora una volta la partecipazione attiva di Rieti alle correnti culturali moderne.
Per conoscere la storia più antica della città, invece, bisogna visitare la sezione archeologica. Qui si scopre l’antica Reate: il popolo sabino, la fondazione della città, il culto, i costumi e il rito funerario.
La sezione offre anche una suggestiva panoramica della Rieti romana, con reperti lapidei che ne rivelano la monumentalità.
Quali sono le opere più emblematiche, i veri “masterpiece”, che meglio raccontano la storia di Rieti?
Nella collezione archeologica segnalo:
- l’urna a capanna, tra le più antiche sepolture sabine;
- la kylix con satiro, coppa attica da banchetto;
- le tipiche anforette sabine decorate a cilindretto;
- un sostegno architettonico a forma di testa di menade proveniente da un edificio pubblico romano;
- un rilievo con scena di venatio, decorazione di un monumento funerario raffigurante una spettacolare caccia in anfiteatro.
Nella sezione storico-artistica:
- il Trittico con Crocifissione di Zanino di Pietro;
- la Madonna con Bambino e Santi di Luca di Tommè;
- la Madonna del Latte di Antoniazzo Romano;
- il gesso dell’Ebe di Antonio Canova;
- la Morte del Pastore di Antonino Calcagnadoro, espressione del legame dell’autore con la sua terra.
Come nasce il progetto “Sabato è museo” e a chi è rivolto?
Il progetto nasce dal desiderio di rispondere al bisogno diffuso di cultura, proponendo approfondimenti legati alle nostre collezioni.
L’idea è offrire uno spazio in cui fruire del patrimonio artistico e archeologico, stimolando la partecipazione attiva del pubblico attraverso incontri agili ma scientificamente fondati.
Questi appuntamenti vogliono avvicinare i cittadini alla metodologia della ricerca, offrendo spunti di riflessione sulla storia e sulla città.
Li consiglio a tutti gli appassionati e curiosi della storia reatina: attraverso oggetti apparentemente “minori” si possono scoprire narrazioni nuove e affascinanti.
Quali sono i progetti futuri più significativi?
Nel breve termine, il Museo Archeologico sarà arricchito da dispositivi tecnologici multimediali e multisensoriali, grazie al progetto PONTES – Progetto Operativo per Nuove Tecnologie, Esperienze, Socialità, finanziato dalla Regione Lazio.
Iniziato nel 2018, il progetto sarà completato entro fine anno, aggiornato con tecnologie moderne. Approfondirà aspetti della vita quotidiana della Rieti romana e del territorio.
Per il 2026, in occasione di L’Aquila Capitale Italiana della Cultura, Rieti parteciperà con una progettazione condivisa. Sono previste due grandi mostre:
- una dedicata alle origini comuni dei popoli italici, con materiali noti e inediti;
- un’esposizione straordinaria che porterà in città un’opera di assoluto valore artistico.
C’è un sogno personale che vorrebbe realizzare durante la sua direzione?
È un desiderio che riguarda più la città che il museo in sé: mi piacerebbe vedere realizzato il progetto di musealizzazione dei resti archeologici sotto Palazzo Aluffi (ex caserma dei Carabinieri, oggi sede universitaria).
Non si tratta di creare una nuova sede espositiva, ma di ristabilire un legame tra la città antica e quella contemporanea, nel rispetto della conservazione del patrimonio, dello sviluppo economico e dell’identità culturale.
Per realizzarlo, è necessaria la conclusione dello scavo archeologico: un passo fondamentale per approfondire la storia urbana di Rieti sin dalle sue origini.
Fabrizio Finamore
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