
Fig. 1 – Vera Effigie della Madonna SS.ma della Neve di Palombara, Roma 1784.
Il primo gennaio è stato il giorno dedicato a Maria Vergine con la riforma liturgica del rito romano del 1969.
Paolo VI nella 39a esortazione apostolica Marialis Cultus del 2 febbraio 1974, scriveva
“ci sembra che la comune attenzione debba essere rivolta alla ripristinata solennità di Maria SS. Madre di Dio secondo l’antico suggerimento della liturgia dell’Urbe al primo giorno di gennaio.”
Al di là della collocazione nel calendario liturgico della festività mariana, non v’è dubbio quanto sia stata viva e costante la devozione nella Sabina verso la Madonna.
Scrive Ileana Tozzi ne “la Diocesi di Sabina (a cura dell’Oratorio del Gonfalone)”, dedicato al Cardinale vescovo di Sabina Giovanni Battista Re, 2015, a commento di “Ritratto di Paysanne de la Sabine (fig. 3),
“evoca le generazioni di donne devote che nelle difficoltà dell’esistenza depositarono in voto i loro gioielli davanti agli altari intitolati alla Vergine”.
Sembra buona sintesi per l’argomento il riferimento all’importante studio di Mons. Antonio M. Bernasconi “Storia dei Santuari della Beata Vergine in Sabina” del 1905,
“opera uscita più dal cuore che dalla penna di un degno Sacerdote della Sabina”
come scrisse nella ristampa del 1987, S.E.R Mons. Marco Caliaro, Vescovo di Sabina-Poggio Mirteto e con l’invocazione nell’introduzione alla nuova più recente stampa: “O Vergine di Vescovio, Vergine di Farfa, Maria SS. del Popolo di Rieti, Madre SS. della Neve di Palombara, Vergine delle Grazie di Magliano, di Uliano e di Ponticelli, Regina del Diluvio di Monterotondo, che sotto tanti titoli augusti
“Ti sei resa gloriosa in mezzo al popolo Sabino, deh rivolgi benigno il Tuo ciglio alla Tua cara Sabina, che negli otto santuari come in otto fulgidi troni, spandi le Tue grazie e i Tuoi tesori”.
Sembra a questo punto delinearsi un richiamo a spunti già accennati in precedenza, quando, censendo i centri che conservano il toponimo “Sabino” abbiamo inserito Palombara Sabina, ricordando che non è in provincia di Rieti, ma di Roma, mentre è ricompresa nella Diocesi di Sabina-Poggio Mirteto. A Palombara nacque poi nel 1867 il citato Mons. Bernasconi, che con il suo lavoro sui Santuari della Vergine in Sabina andò oltre la ricerca del dato storico:
“nè omisi di interrogare il popolo, per udir colle stesse mie orecchie, ciò ch’esso sapeva di più importante di ciascun Santuario e particolarmente i prodigi operati dalla Beatissima Vergine in Sabina”.
Con il che si palesa ancora come sia diffuso e forte il sentimento di comunità Sabina fuori da confini amministrativi anche con l’esperienza vissuta con le pratiche religiose e devozionali. Vale ricordare tra i tanti un raro testo del 1784 “Breve ragguaglio… della sagra immagine di Maria Sempre Vergine sotto il titolo della Neve della terra di Palombara ne ‘Sabini”. (fig. 2).

Fig. 2 – Breve ragguaglio della origine e traslazione della sagra immagine di Maria Sempre Vergine sotto il titolo della Neve della terra di Palombara ne ‘Sabini”, Roma 1784.
Oltre a far conoscere “in qual pregio, e venerazione avessero i Palombaresi la detta effige basta riflettere al trasporto, che essi ne fecero in Roma ne due Anni Santi del 1650, e del 1675 alla visita delle quattro Basiliche e poi esposta alla pubblica venerazione nella Chiesa di S. Lucia del Gonfalone. Ma il libro non solo è testimonianza della devozione locale, ma anche racconta come il culto Mariano è “fluido” nelle popolazioni:
“con profondità di rispetto, e con dolce commozione di affetti, e di spirito si è sempre parlato di questo pregiosissimo pegno; e sino negli ultimi confini della Sabina giungevano gli applausi, onde la pietà de’ Popoli divoti risonar fece con eco giuliva le glorie di nostro Signore.”

Fig. 3 – “La delicata incisione ottocentesca che raffigura una Paysanne de la Sabine con il tipico mantile, gli orecchini a cioccaglie, il vezzo di coralli, il busto fiorato stretto dai lacci di seta, la gonna a filze coperta dal candido zinale, i piedi calzati dalle ciocie affibbiate, evoca le generazioni di donne devote che nelle difficoltà dell’esistenza depositarono in voto i loro gioielli davanti agli altari intitolati alla Vergine. Così la donna sabina fu vista e tratteggiata da un anonimo artista impegnato nel Grand Tour, forse ignaro della memoria del ratto delle Sabine, mai scalfita dalla verità storica: eppure, la stampa acquerellata restituisce l’immagine gentile e pudica di una giovane donna consapevole della caducità della bellezza, intesa a cogliere e coltivare i valori più concreti e duraturi che appartennero ai prischi Sabini, operosi, sinceri, rispettosi dei patti. Valori universali, che ci auguriamo appartengano ancora ai Sabini di oggi e di domani.”
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